ELEMENTI UTILI PER LE TERAPIE INTENSIVE IN TEMPO DI CORONAVIRUS

 Gli appunti e le riflessioni contenute in questa pagina sono curate da Martin Langer, membro del Comitato Tenico-Scientifico GiViTI.

Scopo di questi incontri e, di questo riassunto, è quello di uno scambio di esperienze, idee, problemi e soluzioni tra pari, medici ed infermieri, che sono attivamente coinvolti/travolti dall’epidemia. Oltre al bisogno di confrontarsi, speriamo che altri, non ancora o meno coinvolti in quest’emergenza, possano ricevere qualche aiuto.

Il contesto è caratterizzato dallo sconvolgimento della vita intorno a noi con il rischio di essere infettati e di infettare. Per noi sanitari, benché meglio informati, formati e anche protetti di tanti altri, il rischio è costante e siamo angosciati dalla malattia che vediamo nelle sue manifestazioni più gravi, ma siamo angosciati anche dal rischio di portare il virus a casa; anche noi abbiamo compagni/compagne, figli, genitori … Le soluzioni che si adottano sono diverse, dall’autoisolamento fuori casa o in casa, al social-distancing + territorio separato in casa, tutte soluzioni difficili ma necessarie e senza limiti temporali certi.

Gli ospedali e i reparti di Terapia Intensiva sono completamente cambiati in pochi giorni, trattiamo quasi solo “pazienti COVID-19” con insufficienza respiratoria, alcuni guariscono, molti muoiono – Non sappiamo ancora quanti.

Non sappiamo dove sono finiti i “nostri” pazienti abituali, la chirurgia maggiore non urgente è sospesa e ci sono meno traumi, ma quelli con shock settico, accidenti cerebrovascolari, infarti con arresto cardiaco… sembra quasi che di solito non facessimo nulla. Quali e quanti saranno i “danni collaterali?”

Sintetizziamo in seguito alcune considerazioni condivise nelle discussioni delle teleconferenze che però, per ovvi problemi metodologici, non vogliono e non possono rappresentare raccomandazioni ma solo spunti di riflessione dalla pratica di “altri”.

DALLE TELECONFERENZE GiViTI DEI GIORNI 10 – 17 – 24 MARZO 2020 (I, II, III)

 

DIMINUIRE IL RISCHIO DI CONTAGIO

 
  • Ogni struttura adibita a nuova Terapia Intensiva aggiunta, anche quelle di base poco adatte, permette di definire aree a diverso rischio di contaminazione. Queste aree, compartimenti, devono essere disegnate (da altri o da noi) e le separazioni devono essere rigorosamente rispettate. Lo spogliatoio all’inizio del percorso pulito – sporco, dovrebbe permettere di non contaminare i vestiti con i quali si torna a casa.

  • Deve essere stata creata una cultura comune, un bagaglio fondamentale per tutti gli operatori su elementi base come modalità – rischio di contagio, primi sintomi della malattia (per non venire a lavorare), vestizione/svestizione, corretto uso senza spreco dei dispositivi di sicurezza. Queste competenze devono essere acquisite prima, ma hanno sicuramente bisogno di verifiche e rinforzi continui.

LAVORARE IN SQUADRA PER SENTIRSI PIU’ SICURI E PIU’ EFFICACI

 

Il gruppo di operatori destinati al nuovo reparto, non è formato solo da persone che hanno già lavorato insieme e, solo in parte, da persone che hanno già lavorato in ambiente intensivo. Dove si può, i gruppi saranno costituiti mescolando operatori esperti e operatori meno esperti (ad esempio provenienti da altri reparti) e questo gruppo deve diventare in poco tempo una squadra. La sicurezza delle persone e l’efficacia del lavoro dipendono moltissimo da questa squadra. Una leadership riconosciuta è indispensabile.

In queste circostanze il “team building” deve essere rapido ed è affidato alla capacità di queste stesse persone, pressate dalla fretta e dalla preoccupazione. Il sentirsi sicuri (più sicuri possibile) è l’unico antidoto alla paura. La sicurezza degli operatori deve essere al primo posto delle preoccupazioni e comprende formazione adeguata, disponibilità e corretto uso dei dispositivi protettivi, protocolli terapeutici che tengano conto anche della sicurezza. L’adesione alle pratiche di precauzioni concordate deve essere controllata, il controllo può essere reciproco o, meglio, affidato ad altra persona che osserva e corregge. Dedicare una persona al controllo non è uno spreco, il controllo deve essere insieme severo ed amichevole, può salvare la vita.

Sono emersi alcuni aspetti più tecnico-pratici:

  • La cura dei pazienti prevede sempre qualcuno nell’area pazienti (sporca, rossa…) e persone di supporto nell’area “pulita” che riforniscono e supportano i colleghi attualmente alla cura diretta. Lavorare con la protezione massima comporta disconfort, fatica fisica e psichica e non permette turni di lavoro troppo lunghi. Un alternarsi tra l’operatore alla cura diretta e quella di supporto deve essere programmato. La squadra deve tener conto di possibili difficoltà dei singoli. Turni di riposo a casa sono necessari anche se per molti è quasi impossibile “staccare”.

  • Informazione e condivisione delle linee terapeutiche sono la base del trattamento. Protocolli sono fondamentali e sono possibili, grazie alla poca variabilità tra paziente e paziente. Serve consapevolezza che anche i protocolli possono – devono cambiare perché la conoscenza progredisce rapidamente e la disponibilità di farmaci varia. È necessaria molta elasticità mentale per adattarsi a condizioni ed esigenze che cambiamo rapidamente a causa di eventi esterni. I protocolli sono un aiuto, non una legge.

  • Le riunioni ad inizio/fine turno (briefing) devono essere costanti, brevi per poter includere possibilmente tutti e servono come consegne, aggiornamento e anche per un primo debriefing delle cose andate male.

  • La condivisione dei problemi tecnici e non, dei successi e degli insuccessi con una assunzione collegiale dei meriti e dei fallimenti ed errori, aiuta a stare meglio e a migliorare. Nessuno ha la bacchetta magica e solo la costante applicazione di quello che sappiamo e possiamo fare, porta risultati.

  • Manovre complesse devono essere eseguite da persone esperte; in assenza di persone esperte è bene chiedersi se è possibile postporre manovre/decisioni complesse.

  • Decisioni problematiche o difficili come trasferimenti “un po’ precoci per prendere un altro paziente” o desistenza terapeutica e passaggio a palliazione, devono essere discusse e prese collegialmente, ove possibile. È evidente che gli eventi non sempre aspettano il briefing.

IL DIFFICILE PROBLEMA DELLA COMUNICAZIONE CON PAZIENTI E PARENTI

 

Tutti gli operatori concordano sull’angoscia che crea la solitudine a pazienti e anche agli operatori. Quasi tutti i reparti hanno scelto di dare informazioni al telefono chiamando le famiglie ad orari prestabiliti, cercando di fare sì che sia limitato il numero di persone che fa questo servizio. La partecipazione di psicologi è possibile in alcuni reparti e aiuta. Anche soluzioni più tecnologiche (tablet, videochiamata, ecc) sono utilizzate.

Sappiamo ancora poco o niente di come i pazienti riescono ora e in futuro a gestirsi questo stress.

DALLA TELECONFERENZA GiViTI DEL GIORNO 31 MARZO 2020 (IV)

DATI SULL’EPIDEMIA

 

Vengono condivisi alcuni numeri relativi all’epidemia in Lombardia (Roberto Fumagalli) e i primi dati della raccolta GiViTI, incompleti perché manca ancora per molti pazienti l’esito. Stefano Finazzi riferisce sull’imminente rilascio di una nuova CRF, condivisa anche con SIAARTI, per la raccolta dati di pazienti COVID. A questa nuova raccolta-dati potrebbero partecipare anche reparti che abitualmente non aderiscono al Progetto Prosafe/GIVITI, che diventerebbe così ancora più rappresentativa.

ARRUOLAMENTO PAZIENTI COVID PER BISOGNO DI INTUBAZIONE E VENTILAZIONE

 

In tutte le situazioni rappresentate vengono ricoverati molti pazienti in diversi reparti con variabile possibilità di assistenza respiratoria e con buona collaborazione tra le Terapie Intensive e pneumologi, infettivologi, medici d’urgenza, ecc.

In tutti gli Ospedali rappresentati le TI hanno un programma di consulenza in tutti questi reparti COVID dell’Ospedale. Questa consulenza avviene prevalentemente su base fissa con giri mattina e sera oltre a chiamate urgenti. I colleghi consulenti conoscono da una parte la situazione posti letto in TI e, dall’altra, seguono i pazienti “a rischio” nei reparti. I criteri di valutazione sono la frequenza respiratoria (</> 30/min), la fatica, la valutazione della riserva fisiologica e l’ipossia. Il concetto di ipossia e la sua valutazione è diversa da altre tipologie di pazienti che siamo abituati a vedere. Valori più bassi di saturazione sono abitualmente tollerati e questo giustifica anche trattamenti non invasivi maggiormente protratti. La decisione di intubare e trasferire avviene prevalentemente sulla base della traiettoria (acuta e “tumultuosa” o in peggioramento progressivo con rischio di esaurimento) e l’intubazione, benché elettiva, avviene prevalentemente in corsia, prima del trasporto. La decisione dipende dal paziente e dalle condizioni locali. Nessuno dei presenti clinici ricorda problemi gravi all’intubazione (aritmie, arresto, …). Tutti hanno e devono avere adeguati dispositivi di protezione e l’aiuto di una seconda persona esperta. Trasferimenti in TI per continuare ventilazione non invasiva sono attualmente meno frequenti e sicuramente legati a problemi organizzativi (disponibilità di posti e assistenza pre-TI e a scelte individualizzate come pazienti ad alto rischio che però ce la potrebbero fare).

WEANING

 

Tutti concordano sul fatto che la malattia COVID ha i suoi tempi, difficilmente determinabili con gli esami di laboratorio, ma piuttosto con l’evidenza di una maggiore stabilità degli scambi: meno desaturazione e più rapida ripresa dopo manovre come aspirazione, nursing o con la desincronizzazione con il ventilatore. Mentre restano validi criteri generali come adeguamento della sedazione, volemia e compenso cardiaco. Le estubazioni avvengono anche con rapporti PaO2/FiO2 bassi, molto più bassi dei valori target in epoca pre-COVID. Questo è riconducibile alla migliore tolleranza dell’ipossia se durante la ventilazione si sono mantenuti valori di SpO2 medio bassi (riferimento: adattamento ad alta quota) e se la meccanica respiratoria, valutata con metodi specifici ma anche solo clinicamente, resta buona. I pazienti estubati e anche mobilizzati hanno spesso bisogno di assistenza respiratoria in CPAP o ventilazione non invasiva per la ulteriore stabilizzazione.

TRACHEOTOMIA

 

Sia i dati GIVITI finora raccolti, sia l’esperienza dei 5 relatori fanno vedere tutto e il contrario di tutto. Non esiste una strategia chiaramente vincente, non esiste evidenza. Anche il timing nei vari reparti rispecchia progetti terapeutici diversi. In alcuni reparti si procede solo nei casi con assistenza molto prolungata, in altri precocemente e per default. C’è un consenso che la tracheotomia potrebbe far risparmiare qualche giorno di degenza, ma si pone il problema irrisolto dei posti in reparti di riabilitazione che possano ricoverare pazienti verosimilmente ancora contagiosi e con tracheo da gestire (rischi dalle secrezioni, occlusione cannula, decanulazione accidentale…).

Anche la tecnica è controversa nella pratica: sono in gioco il carico di lavoro (team esterno di ORL vs operatori interni), il rischio di contaminare (operatori ed ambiente), i tempi di guarigione ed ev complicanze (chirurgica vs percutana). È tassativo che siano in ogni caso operatori molto esperti per minimizzare i rischi. La maggior frequenza di sanguinamento dopo tracheo chirurgica nel contesto di crescenti dosaggi di eparina è un argomento contro l’approccio chirurgico.

C’è, e ci sarà sempre di più, un urgente bisogno di reparti di riabilitazione dopo TI per COVID, capaci di gestire anche pazienti potenzialmente contagiosi con tracheo.